Il nostro patrimonio artistico palazzolese, oggi non è attenzionato né dalle scuole, né da associazioni culturali che dovrebbero invece studiarlo e valorizzarlo. Coinvolgere un pubblico locale più ampio a riscoprire e apprezzare i nostri beni storico-artistici sarebbe un valore aggiunto per il nostro paese. L’entroterra siracusano “possiede un patrimonio culturale-come dice Brancati- tanto pregevole quanto inesplorato, tanto vasto quanto sconosciuto. Per questo bisognerebbe abbattere quel muro di disinteresse che circonda i beni storico –artistici, come dice Stefania Scarnà nella sua tesi di laurea, ma che “spesso è una conoscenza povera e inadeguata”. Penso che abbia ragione, infatti per questo desidero parlare di una tela che è poco conosciuta e che rappresenta Sant’Ippolito e il suo carnefice. La tela, oggi, si può ammirare nella navata sinistra della Chiesa Madre di Palazzolo Acreide, ma commissionata, un tempo, per la chiesa di Sant’Ippolito, oggi non più esistente.
Il sant’Ippolito: la pittura in Sicilia
L’arte pittorica in Sicilia a partire dal cinquecento è essenzialmente religiosa. Nella Sicilia sud-orientale la produzione pittorica, dice Stefania Scarnà nella sua tesi di laurea intitolata Una tela ignorata di Mario Minniti. Il Sant’Ippolito e il suo carnefice a Palazzolo Acreide, meriterebbe maggiori attenzioni. Le notizie su tele locali spesso sono inattendibili. Ovviamente il patrimonio siciliano comprende dipinti di difficile attribuzione, che non raggiungono il pregevole valore di altri quadri e costituiscono invece, come dice il Parisi, « genuini documenti del ‘sentire’ popolare».
Il sant’Ippolito: contatto diretto dell’opera
Le tele per essere descritte commentate e criticate adeguatamente è necessario, come dice Longhi, “l’esercizio a contatto diretto con l’opera, considerata nella sua interezza di manufatto fisico e storico”, perché “solo l’occhio che vede, valuta l’opera”. Su questa scia desidero farvi percorrere la storia del nostro Sant’Ippolito, una tela di Mario Minniti.
Mario Minniti
Dal 1563 in poi dopo il concilio di Trento, l’arte sacra aveva il compito di “insegnare, edificare e destare gli animi ad ogni fonte di virtù”. In generale le opere siciliane risentono dello spirito caravaggesco. Per quanto riguarda il Minniti si deve dire che conosceva il Caravaggio già a Roma ed è la sua amicizia che dà al Minniti la notorietà. Ma il nostro autore/pittore più maturo si aprirà a forme stilistiche autonome che “tendono, come dice Stefania, verso un nuovo modo di concepire il colore ora corposo ora denso”.
Il sant’Ippolito: attribuzione della Tela a Mario Minniti
Il Sant’Ippolito e il suo carnefice nell’Ottocento è citato, ma non si dice chi fosse l’autore. Nel Novecento fu attribuito a Pietro Novelli, ma nel 1991 Donatella Spagnolo ritenne il dipinto una possibile attribuzione minnitiana. Le modalità pittoriche sono tipiche del Minniti e come dice Stefania si nota “la scena serrata e interamente occupata da due figure che evidenziano l’essenzialità dell’evento”. La fisionomia del carnefice, dice il Parisi “dai capelli corvini e tipicamente rasi è propria dei personaggi minnitiani”. Il Minniti fa indossare ai suoi personaggi la cintura a fascia annodata in vita. La cintura è frequentissima e fa pensare ad una sorta di firma delle tele di Minniti.
Raffigurazione del santo
La raffigurazione del santo costituisce una novità perché è raffigurato o vestito da soldato o trascinato da cavalli. Nel nostro dipinto vi è la presenza di un mantello e dell’elmo. La mancanza di frecce fa capire che non si tratta del San Sebastiano.
Il Sant’Ippolito e il suo carnefice
Il Sant’Ippolito palazzolese, è una piccola tela, precedentemente posta nella parete sinistra della cappella del Santissimo Sacramento della Chiesa di san Paolo. Le piccole dimensioni della tela fanno dedurre che il quadro fosse stato commissionato per una piccola chiesa. Infatti si sa da Padre Giacinto Leone che a Palazzolo prima terremoto del 1693 esistevano circa 30 chiese tra cui una chiamata “sant’Ippolito extra moenia”. La chiesa, come dice Stefania, doveva sorgere lontano dai limiti naturali dell’abitato palazzolese.
Chi era Ippolito e iconografia
Stefania ci dice che Ippolito era un centurione alle dipendenze dell’imperatore Valeriano. Il santo, convertitosi al Cristianesimo, venne martirizzato il 13 agosto del 258. Il martirio è legato al significato del nome: Trainato dai cavalli. Ippolito è il protettore dei militari, delle guardie carcerarie e degli agenti di custodia. L’iconografia ha una notevole diffusione. Ippolito è raffigurato, in Francia e in Germania, con vestiti di soldato, lancia, con elmo, le chiavi della prigione e una corda con cui fu legato ai cavalli, strumento del martirio. La rappresentazione del martirio è sempre la stessa: Ippolito viene legato ai cavalli “nell’istante in cui vengono lanciati al galoppo in direzioni opposte”.
Iconografia della tela Martirio di sant’Ippolito palazzolese
La scena del martirio nel quadro palazzolese è raffigurata diversamente: il carnefice è inginocchiato sulla sinistra del santo e che ha le braccia legate ad un albero. L’elmo e il mantello rosso, simboli dell’attività militare si vedono appena. Il simbolo del martirio cioè il cavallo non è stato raffigurato. L’iconografia è inconsueta forse mutuata dall’iconografia di san Sebastiano. Per questo motivo potrebbe essere scambiato con San Sebastiano, ma nel suo corpo mancano le frecce. Stefania dice che “un particolare rilevante è dato a mio parere dalla figura che giace in fondo a terra con un braccio lungo il corpo e l’altro sollevato”. Questa figura rappresenterebbe “la citazione della morte del Santo legato per quel braccio ad un cavallo che potrebbe esserci stato”, ma non lo troviamo rappresentato nel quadro.