La Vendemmia è da sempre stata una tradizione palazzolese. Il riempimento delle “botti” si tramanda da generazioni in generazioni a Palazzolo Acreide. Da generazioni giovani e meno giovani nel proprio “dammuso” vendemmiano. Negli anni ’50 ognuno aveva la propria vigna dove si coltivava la propria uva. Nei casolari dei contadini palazzolesi ognuno aveva il “vignale” dove si custodiva la propria vigna.
La Vendemmia, anticipata dalla “lavata delle botti”
Ai primi di settembre, dopo i caldi mesi estivi, avviene la “lavata delle botti”. Le botti di legno nuove o usate, sono riempite con acqua per eliminare le sostanze solubili del legno, definita la “fezza” che potrebbero alterare le caratteristiche del prodotto. Finito il lavaggio si risciacqua bene e si lascia asciugare, quindi si solfora con dei dischetti di zolfo. Può avvenire che le botti non siano state usate per diverso tempo, a questo punto vanno riempite per, in termine palazzolese, farle “spanzare”. Questa operazione permette al legno di gonfiarsi e dilatarsi fino ad offuscare le precedenti perdite.
Nella tradizione palazzolese c’è chi compra direttamente il mosto e chi compra l’uva.
La Vendemmia e la fermentazione
“A noi manca il passaggio della coltivazione- ci racconta Lucio Bucello- abbiamo comprato l’uva nella zona di Bonivini tra Rosolini e Pachino in vigne di nero d’avola a coltivazione ad alberello. Ci troviamo sempre bene, infatti la zona dove acquistiamo è sempre questa.
Dopo l’acquisto l’uva viene sgrappolata e facciamo fare la fermentazione sulle bucce. Questo passaggio dura 10-15 giorni”. La fermentazione determina la trasformazione degli zuccheri fermentescibili in alcol etilico e anidride carbonica per opera dei lieviti, che muoiono quando lo zucchero inizia a trasformarsi in alcol.
La Torchiatura
” Non appena – continua Gianni Savasta della Trattoria del Gallo – ci accorgiamo che lo zucchero è totalmente scomparso, misurandolo con un apposito termometro, avviene che il grado zuccherino fermentando diventa alcolico. A questo punto facciamo la “molitura” con il torchio.
“Anticamente – ci dice Lucio Bucello – si teneva 24/48 ore e lo torchiavano e la fermentazione avveniva nelle botti direttamente. Noi invece, usando una procedura moderna, lo teniamo nelle bucce tutto il periodo della fermentazione. Il termometro stabilisce quanti giorni si deve tenere nei recipienti per la fermentazione 10-12-15 giorni. A questo punto lo torchiamo e otteniamo il mosto. In passato in breve tempo riusciva a schiarificarsi prima a causa delle temperature più basse, il vino era pronto già nel periodo di San Martino. Oggi invece necessita più tempo perché le temperature si abbassano tra novembre e dicembre. Quindi il vino non è pronto prima di fine dicembre o ai primi giorni dell’anno nuovo”.
In questo processo il mosto passa da essere un semplice succo d’uva a un prodotto alcolico.
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