Il 17 gennaio è stata la festa liturgica di Sant’Antonio Abate, che a Palazzolo si festeggia presso la chiesa omonima. È considerato il primo eremita della Chiesa. Nacque in Egitto nel 250 da genitori cristiani, proprietari terrieri molto ricchi, che morirono quando Antonio aveva circa vent’anni. Antonio sentì le parole di Dio: «vieni e seguimi». Vendette le sue proprietà, donò il denaro ai poveri, iniziò la sua vita da eremita e visse per vent’anni in solitudine. Finite le persecuzioni fondò due monasteri. La sua vita, scritta da Atanasio, fu uno dei testi più importanti per la divulgazione degli ideali di vita monastica.
Sant’Antonio Abate e l’iconografia
L’iconografia ritrae Antonio, ormai anziano, mentre cammina maestosamente e solennemente scuotendo un campanello. Inoltre il santo è rappresentato in compagnia di un maiale. Questo animale era utilizzato da Antonio e dai suoi discepoli per ricavarne il grasso da utilizzare nella preparazione di emollienti da distribuire sulle piaghe dei malati, perciò era prediletto dal Santo. La cultura contadina apprezzava molto il maiale perché all’atto della macellazione, non si buttava niente. Durante la festa dedicata al Santo oltre al maiale veniva benedetto tutto il bestiame.
La Chiesa di Sant’Antonio Abate
Padre Giacinto Farina dice che la chiesa di Palazzolo Acreide dedicata a Sant’Antonio Abate è rimasta incompleta, benché “non mancasse di merito”. La chiesa è dichiarata sacramentale il 12 dicembre 1757 “da papa Benedetto XIV, con le solite solennità”. Sappiamo che nel 1634 era già istituita la Confraternita di Sant’Antonio con le proprie costituzioni. Una delle costituzioni imponeva ai consociati di celebrare “la festa con le solite processioni”, già in uso fin dal l624 quando, il vescovo Antinoro, dava licenza al procuratore della Chiesa di Sant’Antonio di “portare in pubblica processione la statua del santo”.
La processione e la festa
La devozione, che i Palazzolesi nutrono verso il santo, è molto antica, come ci tramanda Padre Giacinto Farina. Ed è molto antica anche la statua, portata in processione. Questo rito però è venuto a mancare. Dice padre Giacinto: «La tradizione, rimasta durante la festa del santo, riguardava la benedizione degli animali, che suscitava un vasto scalpore». Padre Giacinto descrive questa tradizione nella sua Selva dicendo che “i cavalcanti, avuta la prima benedizione, corrono attorno la solita via e a tutta lena. A chi di loro appare per primo veniva impartita la seconda benedizione”.
La benedizione degli animali
Ma la benedizione è triplice, “triplice è la corsa, triplice ancora il vocìo e il baccano del popolo curioso, che a gran folla si accalca, e spesso fra la neve, o la pioggia, come facevasi negli spettacoli di Grecia e di Roma”. Questa benedizione contrastata dagli altri parroci. In seguito la statua venne interdetta perché pessima e si dice che, fra i difetti della stessa, vi fosse quello di essere vestita con abiti Pontificali.
La tradizione della cuccìa per Sant’Antonio Abate
Il 17 gennaio, per la festa di Sant’Antonio Abate, vi è tradizione di preparare frumento bollito, che va sotto il nome di cuccìa. Il termine deriva da cuoccio che significa “chicco”, tantè che mangiare il pane a coccio voleva dire “mangiarlo a grani e non trasformato in farina”. Nacque un’usanza: chi preparava la cuccìa doveva regalarne una parte a vicini e a parenti.