Stefania DiBartolo è una delle prime palazzolesi ad essersi sottoposta al vaccino anti Covid. “Lavoro da anni in una comunità psichiatrica a doppia diagnosi residenziale e riabilitativa, dove vi sono 19 utenti dai 18 ai 40 anni circa – spiega Stefania -. I pazienti della comunità, vengono inviati dall’Asl o dal CIM (Centro di Igiene Mentale) o dai SerT (Servizi per le Tossicodipendenze). Anche pazienti provenienti dalle carceri per scontare qui arresti domiciliari o condizioni di libertà vigilata. Perché le difficoltà psichiche che hanno li rendono incompatibili alla detenzione in carcere”.
Stefania e la comunità psichiatrica
“Qui la sofferenza e il disagio psichico sono all’ordine del giorno – aggiunge -. Le persone che scelgono di affrontare un percorso in questa comunità, lo fanno per essere aiutate a tornare nel mondo. A imparare a vivere le relazioni in maniera sana, perché hanno avuto la sfortuna di non essere amati o di essere amati malamente.
Da tanti anni vivo a Roma lontana dalla mia famiglia. Ma per Natale si fa sempre rientro in casa, quest’anno i limiti imposti a lavoro non mi hanno permesso di raggiungerla”.
Stefania e il Natale lontano da casa
“Non è pensabile assentarsi per più di 3 giorni – racconta -, altrimenti poi è necessario un tampone, non è concepibile cambiare regione. E’ severamente vietato svolgere un altro lavoro così come fortemente sconsigliato frequentare amici e persone”. Stefania analizza il periodo che stiamo vivendo.“Il Coronavirus – dice – mi ha tolto la possibilità di abbracciare i miei cari nel giorno di Natale. Ma l’attesa degli abbracci, sta solo facendo più spazio per averne di più”.
L’attesa di un desiderio per Stefania
Quale riflessione allora. “La prima riflessione che mi viene in mente – sottolinea – è che in questo anno abbiamo imparato tutti cosa sia l’attesa. Attendere vuol dire provare un desiderio. L’attesa di poter aprire un regalo, o posticipare l’azione controllando l’istinto ad agire. Magari perché si desidera modificare la propria azione, perché posticipata risulta necessariamente diversa. Tutte le prescrizioni anti Covid ci hanno costretto a sperimentare l’attesa di poter riabbracciare la normalità della condizione umana. Abbracci, baci, la vicinanza dei familiari. Le strette di mano, le tavolate, gli aperitivi, le processioni, le tradizioni. Tutto questo è stato impossibile. Ogni legame, rito, approccio ha cambiato forma, persino il Natale ha avuto una magia diversa, fatta di lontananza seppur di tanto calore”.
La sospensione delle attività esterne della comunità
Stefania continua a raccontarci come sta vivendo questo periodo. “In comunità tutte le attività riabilitative esterne: tirocini, borse lavoro, laboratori, uscite sono state bloccate – rileva -. Perché per le strutture residenziali le prescrizioni anti-Covid sono ancora più stringenti. Ai nostri utenti non è più consentito andare a lavoro, a scuola, ai centri di formazione professionale pensati ad hoc per loro. Non possono andare in permesso a casa. Vedere i loro familiari in generale, in quanto non possono ricevere visite da nessuno. Nessuna uscita o mettersi in gioco, per provare di nuovo a fare autonomamente le loro commissioni. Dal comprarsi le sigarette o prodotti per l’igiene personale o dall’andare al bar per un caffè, se non in presenza di un operatore. In molti si sono visti costretti a fare la quarantena chiusi nella loro stanza solo perché li abbiamo portati a fare una visita da un medico”.
Le regole della comunità
“La vita di comunità si fonda su regole e routine che garantiscono la riorganizzazione del tempo e degli spazi”.
Molti degli utenti – sottolinea -, invasi da uno scompenso psichico, si sono dovuti muovere dentro un sistema di regole troppo rigido e restrittivo. Il più delle volte ha arrestato il processo di cambiamento che in comunità si avvia. Un periodo tosto per tutti loro e per noi operatori che abbiamo reinventato il nostro lavoro. E’ cambiato il nostro modo di lavorare e il relazionarci con loro. Una relazione terapeutica è fatta di accoglienza, di presenza, di comprensione, di condivisione. Tutti aspetti che hanno a che fare con la vicinanza che abbiamo reimpostato e ridefinito”.
Le prospettive future
Cosa vede Stefania nel suo futuro. “Ma teniamo duro – dice- perché ora più che mai stiamo dando valore a ciò che stiamo aspettando. Alla speranza, o meglio alla certezza, che molti nell’attesa non si sono bloccati, ma hanno colto l’occasione per migliorarsi. Per reinventarsi, per attivarsi e per cercare una soluzione a questa strana condizione”.
L’arrivo del vaccino
Stefania si è vaccinata. E per lei quel giorno ha avuto un significato importante. “L’arrivo del vaccino – dice – nello stesso anno secondo me è l’evidenza di quanto l’uomo sia una creatura straordinaria.
Nella difficoltà, nella crisi, nella tragedia ha sempre trovato l’occasione per risollevarsi e andare avanti, spesso migliorandosi. Per noi operatori sanitari di questa comunità il vaccino è arrivato il primo dell’anno. Io ho avuto la fortuna di farlo già il 3 gennaio. Per i nostri utenti dovrebbe arrivare il mese prossimo. Credo che per tutti noi il vaccino sia la possibilità di riprendersi la libertà, non la libertà di poter fare ciò che vogliamo. Ma la libertà di poterci desiderare, e vivere perché potremo finalmente riabbracciarci”.