Mib-Mediblei è una coperativa di comunità. La presidente dottoressa Sara Curcio Raiti ci illustra, in questa interessante intervista, il progetto di costruzione multi-partecipato per un Paese ideale, chiamato Damareta.
Dottoressa Sara Curcio Raiti le chiedo innanzitutto MIB- Mediblei di cosa si occupa?
Mediblei è una cooperativa di comunità. Quindi, forse, è il caso di cominciare spiegando cosa sia una cooperativa di comunità. Questo è uno strumento di innovazione sociale nato nel mondo della cooperazione. E’ pensato soprattutto per le aree interne del Paese, per valorizzare la centralità del capitale umano e creare sinergia e coesione in una comunità, mettendo a sistema le attività di singoli cittadini, imprese, associazioni e istituzioni, sul principio del mutualismo reciproco tipico della cooperazione.
E nello specifico?
Nello specifico, la nostra cooperativa di comunità si occupa di valorizzazione e fruizione dei beni comuni; di produzione e organizzazione di attività, eventi e manifestazioni legate al mondo della cultura ma anche del turismo di valore. Soprattutto, ci occupiamo di narrazioni e comunicazione perché, alle volte, il segreto per raggiungere un determinato obiettivo, sta nelle parole che scegliamo per raccontarlo. Utilizziamo l’acronimo MIB giocando con l’omonimia con il principale indice della borsa italiana, assicurando che anche il nostro MIB è un indice di valore ma niente ha a che fare con l’economia quanto piuttosto con la felicità di un territorio.
MIB- Mediblei è supportato da altri partners. Mi può spiegare gli obiettivi di questa collaborazione?
Prendo in prestito le parole degli amici Giorgio Franco e Cristina Pulvirenti di Badia Lost&Found (Lentini, SR) che saggiamente definiscono i partenariati come una “cintura di protezione” per le nostre realtà. Ed è indubbiamente così. La collaborazione tra imprese culturali è utile non solo sul piano operativo, ma soprattutto per sapere che non si è soli nelle difficoltà. Nel corso della costruzione della nostra impresa culturale, spesso abbiamo fatto ricorso ai grandi e più espedienti, come Officine Culturali (Catania) o Bassi Comunicanti (Ragusa) per barcamenarci tra dubbi burocratici e scogli insormontabili. L’esperienza di uno può tornare utile a tutti e insieme si cresce.
È nata l’idea di un progetto di costruzione multi-partecipato per un “Paese ideale” del futuro, Damareta. Mi parli di questo progetto.
La pandemia ci ha costretti a fermarci e avviare una riflessione sugli orizzonti futuri. A complicare ulteriore la questione, ha contribuito l’archistar Stefano Boeri che il 20 aprile 2020, in pieno lockdown, ha lanciato dalle pagine di Repubblica l’invito a lasciare le grandi città in favore dei piccoli borghi e noi, che proprio in uno di questi borghi viviamo, abbiamo cominciato a farci ancora più domande sulla consapevolezza e la responsabilità che implica, in questo momento, (ri)abitare i territori. Poi, finalmente, è arrivato in nostro aiuto uno dei grandi della letteratura italiana, Italo Calvino, che con la sue Le Città Invisibili ci ha aperto una strada: se è vero che ogni città prende forma dal deserto a cui si oppone, noi che forma intendiamo dare alla nostra? Così nasce Damareta: ipotesi per un paese ideale la proposta di una costruzione multipartecipata del paese del futuro.
Un Paese ideale denominato Damareta cosa significa?
Rimanendo fedeli alle città invisibili calviniane, abbiamo pensato a un nome di donna per il nostro paese, Damareta, una regina vissuta nel V sec. a.C. Era figlia del tiranno di Akragas (oggi Agrigento) e andata in sposa al tiranno di Siracusa, Gerone. Nonostante le poche notizie storiche oggi rimaste, si sa per certo che fondamentale fu il suo intervento per stringere la pace con i Cartaginesi durante la battaglia di Imera. Sappiamo che fu lei ad opporsi fortemente ai sacrifici di bambini in favore delle divinità.
Il progetto per un paese ideale non è rivolto soltanto a Palazzolo ma anche ai Comuni della zona iblea, perché ampliare quest’idea agli altri comuni?
È il motivo per cui ci chiamiamo Mediblei. La nostra cooperativa di comunità guarda a tutto l’altipiano ibleo della provincia di Siracusa e non solo al Comune di Palazzolo Acreide. Questi territori non possono pensare di rispondere alle sfide del futuro singolarmente. Serve un racconto corale e una strategia comune per essere forti in un mondo che gli vede erroneamente “piccoli” e “isolati” dai grandi centri di interesse.
Il Mib come si sta muovendo per coinvolgere le altre amministrazioni?
Nel breve medio-periodo, ci siamo impegnati a stilare il Manifesto di Damareta. Il Manifesto è un documento di intenti e proposte da condividere con le amministrazioni locali e con quanti vogliano impegnarsi in progetti di rigenerazione territoriale. Nel lungo periodo, l’obiettivo resta identico a quanto fatto fino ad ora: cercare un’interlocuzione costante con le amministrazioni per pianificare azioni in favore dei territori e delle comunità. Le amministrazioni sono dinamiche, possono mutare ad ogni tornata elettorale e non è detto che l’amministrazione successiva segua i proponimenti della precedente. La comunità deve funzionare come la bussola lungo la navigazione: far mantenere la rotta, rendere le istituzioni consapevoli delle loro istanze e lavorare insieme alle istituzioni su strategie che guardino a una progettualità ben più lunga di quella politica.
Oltre a coinvolgere le amministrazioni, si prevede anche di coinvolgere le associazioni e le realtà locali?
La comunità è parte attiva della costruzione di Damareta perché a lei abbiamo chiesto di donarci le parole chiave per la stesura del Manifesto, dal quale vorremmo emergessero i bisogni, le istanze e i sogni della comunità stessa. Ma questo non vale solo per Damareta. È insito nella natura della cooperativa di comunità quella di creare sinergie tra i diversi attori che operano sul territorio. Al momento, le realtà locali con cui lavoriamo a più stretto contatto sono l’Associazione Vicoli&Sapori, lo spazio d’arte San Sebastiano Contemporary e l’Associazione Culturale Dahlia. Con ciascuno di loro, abbiamo lavorato ad attività ed eventi in passato ed altri progetti si concretizzeranno nell’immediato futuro. Il MIB è un progetto inclusivo e Damareta è perfettamente in linea con la nostra idea di cooperazione comunitaria.
La costruzione di un paese ideale potrebbe essere un’utopia, Dottoressa Curcio Raiti cosa ne pensa?
Lo è, se pensiamo ad un modello matematico perfetto che possa andare bene a tutti. E questo, credo non esisterà mai. Sono certa, ad esempio, che io e Lei abbiamo un concetto di paese ideale che possa essere simile in alcuni punti, ma in altri divergerebbe inevitabilmente per via delle nostre esperienze personali e dei bisogni sociali che ci afferiscono. Ecco, per me il paese ideale è un costante dialogo tra le parti, dove le tensioni non sono una mera contrapposizione ma la manifestazione viva di tutti i bisogni della società, dalla cui sintesi si possono trarre modelli di sviluppo che siano quanto più possibile inclusivi, perché nessuna idea ha meno dignità di un’altra. Ma serve propensione all’ascolto e molta umiltà. Lo spettacolo della vita non è fatto per i monologhisti. Funziona se siamo tutti attori sul palco e nessuno seduto sugli spalti a regalarci l’applauso.
Dottoressa Sara Curcio Raiti mi parli dell’evento “damaretacalling” che si è tenuto giorno 28 maggio.
#damaretacalling sono le dirette Facebook che il MIB dedica alla costruzione di Damareta e con i nostri ospiti scambiamo spunti di riflessione e buone pratiche perché siano di ispirazione per il territorio. Il 28 maggio, partendo dalla metafora del giardino planetario, abbiamo avviato una riflessione sul valore delle comunità con Giulia Piccione e Giovanni Teneggi. Lei è autrice e produttrice, con esperienze nel campo dell’editoria, del cinema e della radio e nel corso della sua carriera. Giulia ha avuto la possibilità di lavorare a stretto contatto con il paesaggista Gill Clément, diventando parte attiva nella creazione delle semestrali sessioni di intervento della Scuola del Terzo Paesaggio/Indecisione. Lui è direttore generale di Confcooperative Reggio Emilia. Noi lo abbiamo chiamato in causa perché è il maggior esperto, testimone e narratore delle cooperative di comunità.
La parola donata a Damareta dal dottor Giovanni Teneggi è #perdono, anche tra le persone, una parola bellissima. Secondo Lei è attuabile?
Molto più di quanto si possa pensare, soprattutto nell’accezione proposta da Teneggi. Lui ha sottolineato la necessità, per tutti noi, di accettare prima o poi il limite di doversi perdonare. Questo vuol dire che il perdono, prima ancora di essere una benevola elargizione verso terzi, è un atto da rivolgere anzitutto a noi stessi. Credo servi una certa disciplina morale e, al contempo, la consapevolezza che ogni nostra azione innesca inevitabilmente una reazione e che nessuno di noi è esente dall’avere una responsabilità nei confronti della società che ci circonda.
Cosa significa perdonarsi?
Assumere una postura riappacificante, come l’ha definita Teneggi, non vuol dire far finta che niente sia accaduto ma entrare ancora più in profondità delle cose fino a risalire alle intenzioni. Perdonarsi non vuol dire deresponsabilizzarsi ma, anzi, mettersi nelle condizioni di poter far sì che dagli errori si possa trarre nuova linfa per creare le precondizioni necessarie affinché un fatto doloroso o spiacevole non si verifichi più, per noi stessi e per chi ci circonda.
Dottoressa Curcio Raiti mi può anticipare qualcosa dell’evento che si terrà giovedì 4 giugno.
Anche questa volta, avremo due ospiti in diretta. Alessandro Rinaldi, artista e facilitatore di comunità, nel 2010 ha fondato DMAV (Dalla Maschera Al Volto). È un collettivo di arte sociale che oscilla tra arte pubblica, ricerca fotografica, performance e che lavora sui legami di comunità. Maria Carmela Sciacca, imprenditrice e libraia catanese, con la sorella Angelica, dopo aver fondato la libreria Vicolo Stretto, nel 2018 acquisiscono la storica libreria antiquaria Prampolini, oggi Legatoria Prampolini, resistuendo uno spazio culturale alla città di Catania e, al contempo, tutelando una memoria storica della comunità, lunga oltre 150 anni.