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Lorena Caligiore, la lotta al Covid e il vaccino

Lorena

Lorena Caligiore è un’infermiera palazzolese impiegata in prima linea nella lotta al Covid-19. Lavora al centro HUB Covid dell’ospedale di Ragusa nel reparto di terapia intensiva. Ci siamo fatti raccontare la sua esperienza in questo difficile momento.

Lorena e il virus sconosciuto

“A metà marzo in pieno lockdown- ci dice Lorena – insieme ad altri miei colleghi siamo stati chiamati a combattere un virus sconosciuto. Impreparati non sapevamo come muoverci e agire, eravamo entrati in guerra, senza saperlo, e le nostre uniche armi erano una tuta, una mascherina e i guanti. La paura ha preso subito il sopravvento perché le notizie dal Nord dei miei colleghi che si infettavano continuamente non erano per nulla rassicuranti. Non c’era una cura, nessun protocollo”.

Lorena Fine Turno
Lorena stanca dopo un turno di lavoro

Lorena e le paure iniziali

Le paure iniziali. “Ho avuto paura del contagio e di non essere in grado di affrontare questa emergenza sanitaria – racconta -. Per due mesi non sono mai rientrata a casa per paura di contagiare i miei familiari. Solo per il compleanno di mio padre ho fatto una sorpresa, ma rimanendo in veranda senza gli abbracci o gli auguri. Respirando quell’aria di casa che in quel momento mi ha risollevato notevolmente il morale. Fisicamente stavo abbastanza bene, nonostante aver perso qualche chilo, perché i turni erano lunghi e non c’era neanche il tempo per consumare un pasto. Psicologicamente vedere pazienti in fondo ad un letto senza familiari e con grandi maschere facciali, vivere le loro angosce non è stato semplice”.

Le due ondate del contagio

Le differenze tra le due ondate, racconta Lorena sono state tante. “A marzo è stato meno pesante – sottolinea –, perché con le cure farmacologiche e con l’ossigeno terapia ho visto tanti pazienti riuscire ad essere dimessi a domicilio. La seconda ondata differente è un vero e proprio incubo. In un giorno i posti di rianimazione si sono triplicati, da 7 sono diventati 24. I reparti di degenza ordinaria sono diventati reparti Covid, i reparti di terapia intensiva sono stati riservati ai pazienti più gravi e quelli di malattie infettive riservate ai malati meno gravi. Nonostante questi numeri il Pronto Soccorso si è improvvisamente riempito di pazienti che aspettavano un posto letto che non era disponibile perché i reparti si sono subito riempiti.

La criticità dei pazienti

I pazienti sono spesso in una situazione critica, intubati e respirano solo in modalità assistita collegati con un ventilatore meccanico. Necessitano di un monitoraggio continuo, sedati e tenuti in un coma indotto. I rumori delle macchine, gli allarmi dei monitor sono stati continui e rimanevano in testa anche nelle poche ore di riposo a fine turno”.

Il legame con i pazienti

Il legame con i malati in fin di vita, ci dice Lorena sono momenti difficili. “Quando si è a casa i pensieri sono molteplici – spiega -. L’insonnia è stata sempre presente. Si arriva a legare così tanto con quei pazienti in situazioni critici e si spera che al ritorno l’indomani siano ancora in quel letto d’ospedale. Psicologicamente è tremendo vedere le linee dei monitor che diventano piatte perché per quel paziente non c’è stato più nulla da fare. In questi momenti ci si sente inutili, impotenti, sconfortati davanti ad un male che ancora nel mondo c’è chi dubita della sua esistenza.

Da “eroi” a “complici”

Nella prima ondata l’opinione pubblica ci definiva “eroi” adesso i dubbiosi ci considerano “complici” di questa pandemia. Voglio sottolineare una cosa, non mi sono mai considerata un eroe, ma come tutti i miei colleghi ho svolto il mio lavoro con professionalità. Ho imparato tanto da questa esperienza, stare vicino ai malati, regalare una stretta di mano o una carezza seppur con tre paia di guanti protettivi anche se per loro ero solo una sconosciuta e di me vedevano solo gli occhi. Ancora parlare con chi non poteva sentirmi perché era sedato e incosciente, dare quelle parole di incoraggiamento a chi non poteva riceverle dai propri cari”.

La pesantezza dei tanti mesi lavorativi

La pesantezza dei mesi lavorativi. ”Dopo tanti mesi il carico di lavoro si è fatto sentire anche emotivamente – racconta . All’entusiasmo iniziale è subentrata la paura, ho visto tanti colleghi ammalarsi e qualcuno pure ci ha lasciato. Quei sorrisi, quei sacrifici, quella parola di conforto pian piano è andata via vedendo i tanti pazienti morire da soli. Ho sempre dato il meglio nel mio lavoro e un malato che vedevo guarire mi rendeva tanto felice”. Lorena ci ha poi parlato dell’arrivo del Vaccino. “Dopo tanti mesi di lotta contro questo virus sono molto positiva, il vaccino rappresenta il vento del cambiamento – rileva -. L’aumento dei vaccini ridurrà il contagio fino alla tanta sospirata immunità di gregge. Però occorre lavorare sul buon senso e sulla responsabilità delle persone. Aiutare a far credere sull’efficacia dell’importanza del vaccino.

Lorena Il Giorno Del Vaccino
Lorena il giorno del vaccino

Finalmente il vaccino

Il giorno del vaccino insieme ai miei colleghi abbiamo postato sui social la foto, non tanto per metterci in mostra ma quanto per sensibilizzare il più possibile la popolazione. Mandare un messaggio perché spesso i media escono fuori con fake news o fonti poco attendibili che destabilizzano tutta l’efficacia del sistema sanitario. Noi operatori sanitari ci siamo documentati attraverso le nostri fonte interne prima di farci somministrare il vaccino, e il mio invito è quello di chiedere ai medici di famiglia, o a quel familiare sanitario per capire la validità di queste vaccinazioni.

L’appello di Lorena

La paura vissuta con i morti del Covid è molto più alta di qualsiasi effetto collaterale che ci possa essere con questo ma anche con tutti gli altri tipi di vaccinazioni. E’ l’unica arma che la scienza ci ha fornito perché con l’esperienza vissuta in reparto non si è mai trovata una cura efficace per sconfiggere questa pandemia”.

Cosa rimarrà di questa pandemia

Lorena In Reparto
Lorena in reparto

Le conclusioni di Lorena. “Di questa pandemia, quando finirà, non dimenticherò niente – dice -. Non dimenticherò le storie dei pazienti, i loro occhi, il loro dolore, ma anche le loro gioie dopo le video chiamate con i parenti o i loro sorrisi dopo le parole di incoraggiamento. Ogni momento che ho vissuto dentro quella tuta gigante, con il viso coperto dalla mascherina e da quei grandi occhialoni, ora fa parte di me, fa parte della mia storia professionale e in modo indelebile farà sempre parte di me come persona e come infermiera e sono fiera della professione che con passione ho scelto di fare”.

Lorena Caligiore, la lotta al Covid e il vaccino ultima modifica: 2021-01-15T09:00:00+01:00 da Massimo Puglisi

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