In Inghilterra, quando la pandemia ha cominciato a contagiare la popolazione, il 20 marzo, sono state imposte le chiusure di pub, ristoranti, strutture sportive e ricreative. Una nostra concittadina, la dottoressa Cristina Russo trasferita con la famiglia in Inghilterra già da tempo, ci racconta l’esperienza di questo periodo e la sua attività di medico in ospedale.
L’esperienza di Cristina Russo: in quale città abiti e in quale ospedale lavori?
“Il nostro trasferimento risale all’Ottobre 2016. Viviamo a Woking, centro noto per la presenza della McLaren. È una cittadina dove prevalentemente vivono commuters (pendolari) per Londra. Infatti Woking dista 25 minuti di treno da Waterloo station, centro pulsante di Londra. Lavoro al San Peter Hospital, un NHS Trust che si trova appena fuori da Greater London”.
Cristina Russo tra il lavoro di medico e i tre figli a casa
“Mia madre passa buona parte dell’anno in Inghilterra, evita l’inverno profondo. Qui primavera e autunno sono splendide stagioni, estate mai troppo calda. Con il lockdown mia madre è rimasta bloccata in Sicilia. L’unico risvolto positivo è che qua con me sarebbe stata molto esposta a rischi, da questo punto di vista è stato un bene. Purtroppo non trovo altri vantaggi nell’averla lontana. La sua assenza incide molto nella gestione della famiglia. Infatti quando i ragazzi vanno a scuola, la scuola copre perfettamente le nostre necessità. Adesso mio marito riesce a gestire il suo lavoro da casa cosi loro non sono da soli. Molte mamme della scuola organizzano Zoom call per fare incontrare i bambini e cosi il tempo passa meglio. Fanno compleanni attraverso face time e lo shopping on line li rende contenti. C’è la trepidazione dell’aspettare un pacco”.
Stiamo vivendo un momento drammatico dal punto di vista della salute. Cristina Russo la tua città come sta reagendo a questa situazione?
“La differenza tra aree rurali e aree urbane è netta. Il numero di casi a Londra è altissimo. La cosa non mi stupisce perché Londra è un crogiolo di razze con differenti abitudini e costumi. Il lockdown può essere un problema perché le case sono piccole e la gente tende ad uscire soprattutto con il bel tempo. In realtà per ridurre il contagio il lockdown è l’unica soluzione”.
E le aree rurali
“Le aree rurali sono diverse, le case sono a ragionevole distanza e con grandi giardini che permettono di vivere all’aria aperta senza risentire troppo del problema. Mi stupiscono i ragazzini, tredicenni, compagni di mio figlio che capiscono anche di non poter andare in bicicletta insieme nonostante vengono da ambienti diversi. Tuttavia l’attività fisica da praticare da soli o con i membri dello stesso nucleo familiare viene incoraggiata. Bisogna considerare che la sedentarietà e la dieta potrebbe avere un impatto sull’incremento del rischio cardiovascolare e favorire l’insorgere di molti altri problemi. Bisogna gestire con buon senso però e capire che non bisogna approfittare”.
Il virus nel tuo paese ha colpito molto? Tu come medico hai dovuto cambiare il reparto dove lavori di solito per far fronte alla situazione?
“L’Inghilterra ha assistito all’incremento del numero dei pazienti nelle altre parti del mondo e ha preso provvedimenti. Il mio ospedale ha cambiato aspetto completamente. Innanzitutto è stato allestito un ospedale da campo con container di fronte l’ospedale per i sospetti pazienti infetti in modo da tenere l’edificio pulito fino a che si è potuto. Il pronto soccorso è stato sigillato. Sono state create diverse aree all’interno con percorsi di entrata ed uscita. I dipartimenti sono stati allestiti per accogliere separatamente pazienti Covid19 positivi, negativi e sospetti in attesa di risposta. La terapia intensiva si è potenziata con incremento di posti letto. Tutti i medici hanno cambiato il loro profilo, dai dermatologi ai chirurghi sono stati tutti reimpiegati in medicina. La chirurgia ha cancellato tutte gli interventi di elezione lasciando solo le emergenze urgenti. Un ospedale militare sta sorgendo nelle vicinanze”.
Mi puoi raccontare qualche episodio particolare, a cui hai assistito in ospedale?
“In ospedale non esiste una sola storia ma moltissime, ogni giorno, anche durante periodi normali. Ciò che colpisce al momento è la solitudine dei malati che sono comunque lontani dai loro parenti. In particolare pazienti in fin di vita che non riescono ad avere il conforto dei loro cari e cari che non riescono a dare un ultimo saluto. Tutto è diverso dal normale al momento. Tutti sono molto grati e riconoscenti, si informano se abbiamo i corretti sistemi di protezione”.
Donazioni ne sono state fatte?
“Grandi compagnie hanno fatto importanti donazioni e hanno riconvertito parte della loro produzione per fare visiere e tute. La Mclaren ha fornito centinaia di visiere e un famoso brand di alcolici ha prodotto disinfettante per le mani. Non vediamo nessuno fisicamente ma sentiamo la loro gratitudine in diversi modi, attraverso messaggi twitter che parlano di quello che facciamo in dettaglio a qualche paziente e che noi non avremmo nemmeno notato, ma ce lo fanno notare”.
A scuola ti impegnavi molto per ottenere risultati eccellenti. Certamente metterai lo stesso impegno nello svolgimento del tuo lavoro
“Il mio lavoro è la mia grande passione. Non mi sono mai pentita della mia scelta, nemmeno nei momenti di grande difficoltà e incoraggio sempre chi vedo si impegna. Molti giovani medici hanno ripensamenti e questo secondo me è un punto importante perché questa professione non si può amare a metà. Si tratta di tutto o nulla. Ti assorbe 365 giorni l’anno e te la porti dietro sempre e comunque. È un po’ come gli affetti della tua vita, te li ritrovi sempre. Impari giornalmente dai tuoi colleghi, dai tuoi pazienti, dalla tua esperienza stessa e questo dà un grandissimo senso di soddisfazione”.
In questi giorni particolari per tutti ti piacerebbe ritornare a Palazzolo?
“Non si abbandona la nave in balia delle onde. Palazzolo non ha bisogno di me, il mio ospedale si. Tornerò appena posso ad espletare i miei doveri di figlia e a salutare i vecchi amici”.